sabato 19 marzo 2011

il sapore delle albicocche...

"Zio Ramòn ebbe un'influenza fondamentale su molti aspetti del mio carattere, anche se in alcuni casi ci ho impiegato quarant'anni a mettere in rapporto i suoi insegnamenti con le mie reazioni. Aveva una Ford sconquassata che divideva a metà con un amico; lui la usava il lunedì, mercoledì, venerdì e una domenica sì ed una no, e l'altro la usava per il resto del tempo. Una di quelle domeniche che aveva la macchina portò me, i miei fratelli e mia madre all'Open Door, un luogo nei dintorni di Santiago dove ricoverano i pazzi mansueti. Conosceva bene quei paraggi perchè in gioventù vi passava le vacanze invitato dai parenti che amministravano i terreni agricoli del manicomio. Entrammo sobbalzando su un viale di terra battuta fiancheggiato da grandi banani che formavano una grande volta verde sopra le nostre teste. Da un lato c'erano i pascoli per il bestiame e dall'altro gli edifici circondati da un frutteto, in cui vagavano alcuni dementi pacifici vestiti con camici scoloriti, che ci accolsero correndo accanto all'auto e sporgendo facce e mani dentro i finestrini con grida di benvenuto. Ci stringemmo sul sedile spaventati mentre Zio Ramòn li salutava per noi, alcuni erano lì da molti anni e nelle estati della sua gioventù giocava con loro. Per un prezzo ragionevole convinse il custode a lasciarci entrare nel frutteto.
"Scendete, bambini, i pazzi sono brava gente," ordinò.
"Potete salire sugli alberi, mangiare tutto quello che volete e riempire questa borsa. Siamo immensamente ricchi.
Non so come riuscì che i ricoverati ci aiutassero, presto ci passò ogni paura e finimmo tutti arrampicati sugli alberi a divorare albicocche sbavando sugo, strappandole a manate dai rami per metterle nella borsa. Le assaggiavamo con un morso e se non ci sembravano abbastanza dolci le buttavamo e ne prendevamo altre, ci lanciavano le albicocche mature e ci scoppiavano addosso in una vera orgia di frutta e di risate. Mangiammo a sazietà e dopo esserci congedati dai dementi con baci e abbracci prendemmo la via del ritorno sulla vecchia Ford con la borsona stracolma, da cui continuammo ad attingere finchè non ci vinsero i dolori di pancia. Quel giorno ebbi coscienza per la prima volta che la vita può essere generosa. Non avrei mai avuto un'esperienza simile con mio nonno o con un'altro membro della mia famiglia, che consideravano la penuria una benedizione e l'avarizia una virtù. Di tanto in tanto il Tata si presentava con un vassoio di paste, sempre contate, una a testa, nulla mancava e nulla avanzava; il denaro era sacro e a noi bambini insegnavano presto quanto costava guadagnarlo. Mio nonno era ricco, ma non lo sospettai che molto tempo dopo. Zio Ramòn ero povero come un topo di sacrestia e neanche di questo mi accorsi allora, perchè fece in modo di insegnarci a godere del poco che aveva. 
Nei momenti più duri della mia vita, quando mi sembrava che si chiudessero tutte le porte , il sapore di quelle albicocche mi torna in bocca per consolarmi con l'idea che l'abbondanza è a portata di mano, se la si sa cercare."
da "Paula" di Isabel Allende

giovedì 17 marzo 2011

Ode alla vita - Pablo Neruda

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia, chi non rischia
e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Lentamente muore chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce
il nero su bianco e i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
 chi non rischia la certezza per l'incertezza,
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita
di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge,
chi non ascolta musica,
 chi non trova la grazia in se stesso.


Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare.
Muore lentamente chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto
prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce .

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivi
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza porterà
al raggiungimento di una splendida felicità.

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